La querelle sull’obbligo di iscrizione alla gestione separata Inps, da parte dei liberi professionisti, risulta sempre più accesa nelle aule di Giustizia.

L’obbligo di iscrizione alla Gestione separata è rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante dall’esercizio di un attività professionale – per la quale è prevista l’iscrizione ad un albo o un apposito elenco- con carattere abituale, ancorché non esclusivo, ed anche occasionale, solo quando il reddito annuo percepito sia oltre la soglia monetaria indicata dall’art.44, comma 2. D.l. n.269/2003, di €.5000,00.

Intento del Legislatore era infatti quello di fare rientrare nella gestione separata INPS, esclusivamente quei professionisti iscritti ad apposito albo od elenco, il cui reddito prodotto non veniva però assoggettato a contribuzione ad alcuna Cassa di riferimento.

Diversi sono stati in questi ultimi anni i pronunciamenti giurisprudenziali succedutisi, spesso non conformi.

Recentemente, la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n.10267/21, depositata in data 19.04.2021, si è pronunciata sulla sussistenza dell’obbligo di iscrizione alla gestione separata  Inps di cui all’art.2 comma 26 legge 335/95, e del pagamento dei relativi contributi previdenziali dovuti da parte di un professionista iscritto all’albo, nel caso specifico di un avvocato, con un reddito percepito “sotto soglia”.

Sul solco tracciato in precedenza, da ultimo con le sentenze pubblicate in data 15 marzo 2021 (nn. 7227, 7228, 7229, 7230, 7231, 7232), i Giudici di legittimità hanno riconosciuto un valore indiziario all’indice economico, stabilendo che i professionisti non sono tenuti ad iscriversi presso la Gestione Separata, qualora producano un reddito inferiore ai minimi previsti per l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la Cassa Nazionale Forense.

Ma l’indice economico, di per sé, spesso non risulta bastevole al fine di stabilire la legittimità della iscrizione obbligatoria alla gestione separata inps.

I Giudici di legittimità, ribadiscono infatti che dirimente in punto di fatto, è la “modalità” in cui è svolta l’attività libero professionale, vale a dire se svolta in forma abituale o meno: tale prova deve essere fornita in corso di causa  dallo stesso Ente previdenziale.

Unitamente a tale elemento indiziario, di natura prettamente “economica”, per accertare l’elemento della “abitualità all’esercizio dell’attività professionale e, quindi, avvalorare l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, occorre fare riferimento in giudizio alle cosiddette “presunzioni”, intese come “fatti” prevedibili, da considerare univocamente e universalmente”.

Così, ad esempio, occorrerà valutare, al di là della mera iscrizione all’albo (che non integra una presunzione legale iuris tantum), l’apertura della partita IVA, le dichiarazioni dei redditi prodotte o l’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività, e così via.

Da ultimo, la Corte di Cassazione, con sentenza n.11003/21, del 26.04.2021, ribadendo i suddetti principi ha stabilito che l’abitualità di cui si discute, “dev’essere apprezzata nella sua di menzione di scelta ex ante del libero professionista, coerentemente con la disciplina che è propria delle gestione dei lavoratori autonomi, e non invece come conseguenza ex post desumibile dall’ammontare del reddito prodotto”.

Nonostante il pronunciamento da parte dei Giudici di legittimità, stante l’altalenante andamento delle pronunce sul territorio nazionale dei giudici di merito, si segnala infine che, il Tribunale di Catania, Sezione Lavoro, con ordinanza datata 1/2/21, ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, auspicando che la stessa Corte delle Leggi, intervenga sulla vexata quaestio, chiarendo definitivamente una materia molto farraginosa e dibattuta, che ha generato un enorme contenzioso sul tutto il territorio nazionale.

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